Sunday, June 22 2025

Nel suo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno Italo Calvino racconta le sofferenze di un bambino durante la Seconda guerra mondiale. In questo periodo anche i più giovani hanno dovuto cavarsela autonomamente in un contesto di miseria e violenza. In questo articolo, basandoci su una delle teorie del filosofo Ernst Bloch, analizziamo la speranza di Pin di fronte alle difficoltà vissute.

Disegno di Rita Catunda


Il primo libro di Italo Calvino (1923-1985), Il sentiero dei nidi di ragno (1947)[1], appartiene alla corrente neorealista[2]. Il neorealismo non è stato però soltanto una corrente letteraria, ma soprattutto una maniera di percepire la realtà condivisa dagli scrittori italiani dopo la Seconda guerra mondiale. Secondo Calvino, questi avevano bisogno di esprimere il “sapore aspro della vita”[3], conservando tuttavia una speranza nel futuro.

Il primo romanzo dello scrittore ligure racconta la storia della Resistenza partigiana italiana e focalizza lo sguardo sul protagonista Pin, un bambino orfano alla ricerca incessante dell’amicizia degli adulti. Nel vicolo dove vive, gli uomini scherzano con lui spesso a causa delle relazioni sessuali che la sorella prostituta intrattiene con i militari tedeschi. Ma dopo aver sottratto la pistola a un marinaio e averla sotterrata in un luogo segreto – dove nidificano i ragni –, Pin viene messo in prigione. A seguito della fuga con il giovane partigiano Lupo Rosso, il protagonista rimane solo nella natura, finché non incontra Cugino, che lo conduce a un gruppo segreto di militanti partigiani, il distretto del Dritto. Alla fine della storia, senza aver trovato un vero amico, Pin si rifugia ancora una volta nel suo luogo segreto, ma trova i nidi distrutti.

Calvino ci racconta le conseguenze della povertà della famiglia, dell’abbandono e della violenza della guerra sulla vita del protagonista. Nel presente testo proponiamo un’analisi del rapporto tra le privazioni che Pin deve subire e la sua ininterrotta speranza di trovare un amico. Per farlo, ci avvarremo della teoria del filosofo tedesco Ernst Bloch sulla speranza[4].

Nel suo saggio, Bloch definisce due tipi di sentimenti: l’affetto di attesa e l’affetto pieno. L’oggetto contemplato da quest’ultimo tipo di affetto è disponibile all’individuo o almeno è già presente nel mondo accessibile. Sono esempi di sentimenti pieni la voglia e il rispetto. L’oggetto contemplato da un affetto di attesa è invece inaccessibile alla persona, non si è ancora manifestato nel mondo accessibile. Nella nostra analisi, prenderemo in esame solo gli affetti di attesa, che hanno un legame più stretto con la vita sofferta di Pin, fatta di numerose mancanze.

Tra i sentimenti di attesa, come il timore e l’angoscia, quello che è il più autentico e importante è la speranza. Questa è il “contro-affetto dell’angoscia e del timore, è la più umana di tutte le emozioni, è accessibile soltanto agli uomini ed è imperniato allo stesso tempo sull’orizzonte più vasto e più luminoso che sia[5]. Tale sentimento che spinge l’uomo all’azione nasce da una privazione, che può tuttavia anche scoraggiarlo. Nel caso in cui l’individuo sia spinto ad agire, nascono i “sogni a occhi aperti”, in cui si desiderano delle condizioni di vita migliori.

La pertinenza di questa teoria per il Sentiero è evidente. Pin è cresciuto in un ambiente difficile, in cui “Non ha legge né madre, c’è la guerra, la gente si ammazza»[6]. Non ha un buon rapporto con la comunità verso cui ha piuttosto un atteggiamento ribelle. Tuttavia il protagonista conserva della fanciullezza l’aria irreverente e sognatrice. Le privazioni subite da Pin creano in lui l’affetto di attesa più importante, cioè la speranza. La sua storia è fondata principalmente sulla ricerca della vera amicizia[7]. Prima di trovare il suo vero amico, il bambino deve però fronteggiare diverse difficoltà. Non è facile per lui non essere accolto né dagli adulti, per cui è un bambino, né dai bambini, cui risulta troppo maturo. Ma in prigione Pin incontra la prima persona con cui immagina di poter intessere una vera amicizia:

Dapprincipio, per la questione della pistola rubata, sembrava che con Lupo Rosso si potesse diventare amici sul serio. Ma poi ha continuato a trattarlo come un bambino, e quello dà ai nervi. (…) Pure sarebbe bello andare in banda con Lupo Russo e fare grandi esplosioni per fare crollare i ponti, e scendere in città sparando raffiche contro le pattuglie. Forse più bello ancora che la brigata nera[8].

Si osserva qui l’instabilità caratteristica del personaggio, che ritroveremo in diversi altri passaggi del romanzo. Nell’estratto citato, Pin è combattuto tra il desiderio di diventare amico di Lupo Rosso e quello di entrare a far parte della brigata nera. Pin non riesce a misurare la grande differenza tra la resistenza di uno e il fascismo dell’altra. La mancata coscienza storica rivela il carattere infantile e ancora acerbo del ragazzo. Questa titubanza rafforza un aspetto ancora più importante della storia: il profondo desiderio del protagonista di far parte di un gruppo. Inoltre, Pin ha la possibilità di scegliere prima di trovare il vero amico, anche se le opzioni a volte sono solo nei suoi pensieri.

Sempre in questo brano, osserviamo un’altra modalità scelta da Calvino per rendere il suo romanzo più sognatore: la narrazione in terza persona con punto di vista limitato e soggettivo[9]. Nonostante la presenza di un narratore esterno, nella storia è proprio lo sguardo di Pin ad essere preso in considerazione (con l’eccezione del capitolo IX). Ne consegue un tono generale della vicenda più fiabesco e ottimistico, caratterizzato dalle speranze del bambino. Questo sentimento positivo di attesa viene evidenziato dall’uso del condizionale presente (“sarebbe”) e corrisponde a ciò che Bloch definisce un “sogno a occhi aperti”, il quale è ricorrente nel racconto.

Tuttavia la speranza di Pin non si realizza subito. Il protagonista non riesce a diventare amico né di Lupo Rosso né di Pelle, un altro compagno che conosce al momento del distacco dai partigiani. Ancora secondo Bloch, non è negativo il fatto che la persona sbagli prima di trovare ciò che cerca. Per lui, “La nostalgia di ciò che manca, quando è delusa soprattutto, riunisce le sue forze e tiene duro, anche se gira a vuoto, smarrendosi ora in una direzione, ora in un’altra. Quale non sarà da allora in poi la sua energia quando la via scelta sarà la buona e, attenta, andrà avanti.” [10]. Ed è esattamente questo che succede nell’ultimo capitolo del Sentiero, in cui il protagonista incontra finalmente il suo vero amico: “Pin è tutto contento. È davvero il Grande Amico, il Cugino”[11]. In questo brano, le maiuscole delle parole “grande” e “amico” e l’avverbio “davvero” evidenziano la felicità del protagonista per aver aggiunto il suo obiettivo. Tale felicità è accresciuta dal fatto che i suoi primi tentativi non erano andati a buon fine.

In questo romanzo di Calvino, veniamo a conoscenza dei “sogni a occhi aperti” di Pin, in ragione del suo rifiuto del mondo esistente. Spinto da un interesse rivoluzionario[12], il bambino spera di cambiare la sua realtà. Durante il suo percorso errante, osserviamo, come spiega Bloch, che la speranza è sempre sottoposta al rischio ed è costretta a lottare per cambiare il futuro[13]. Alla fine del romanzo, non solo la speranza di trovare un amico è esaudita, ma ne viene annunciata anche un’altra, dato che i due amici si augurano che i ragni ricostruiscano i loro nidi e che la natura finisca per affermarsi. Le sofferenze di Pin sono quindi ridimensionate, cioè diventano meno importanti rispetto al potere della speranza. Tale visione positiva è simile a quella del filosofo tedesco, per cui la speranza è l’elemento fondamentale per il progresso dell’essere.

[1] Traduzione in portoghese del libro: A trilha dos ninhos de aranha, Companhia das Letras, 2004.

Traduzione in francese: Le sentier des nids d’araignée, Folio, 2013.

[2] E’ importante sottolineare che il realismo calviniano, pur mantenendo la propria supremazia, subisce l’influenza del fiabesco, grazie soprattutto allo sguardo infantile del protagonista della storia.

[3] CALVINO, Italo, Prefazione, ne Il sentiero dei nidi di ragno, presentazione dell’autore, con uno scritto di Cesare Pavese, Milano, Oscar Mondadori, 2013, p. VII.

[4] BLOCH, Ernst, Le principe espérance, Paris, Gallimard, 1976, vol. 1, 535 p.

[5] Traduzione del seguente brano: “[L’espoir est le] contre-affect de l’angoisse et de la crainte, est la plus humaine de toutes les émotions, il n’est accessible qu’aux hommes et est en même temps axé sur l’horizon le plus vaste et le plus lumineux qui soit”. Ibid., p. 97.

[6] PAVESE, Cesare, Il sentiero dei nidi di ragno, in La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1969, p. 275.

[7] Un vero amico viene definito da Pin come quello “che capisca e che si possa capire” (CALVINO, Italo, Il sentiero… Op. cit.  p. 21) e a chi si possa rivelare il segreto di dove fanno nido i ragni.

[8] Ibid., p. 35.

[9] “L’inferiorità di Pin come bambino di fronte all’incomprensibile mondo dei grandi corrisponde a quella che nella stessa situazione provavo io, come borghese [nella Resistenza Partigiana].” (Ibid., p. XX).

[10] Traduzione del seguente brano : « La nostalgie de ce qui fait défaut, lorsqu’elle est trompée surtout, rassemble ses forces et tient bon, même si elle tourne à vide, s’égarant tantôt dans telle direction, tantôt dans telle autre. Quelle ne sera dès lors son énergie lorsque la voie choisie sera la bonne et, attentive, ira de l’avant. » (BLOCH, Ernst… Op. cit., p. 13.)

[11] CALVINO, Italo, Il sentiero… Op. cit., p. 147.

[12] “L’indigent qui refuse le monde existant et veut le Mieux dont il rêve, est animé d’un intérêt révolutionnaire. Cet intérêt n’apparaît qu’avec la faim, la faim détrompée qui se change en force explosive pour faire sauter les barreaux que la privation a plantés autour d’elle. Le Soi, non content de chercher à survivre, devient donc explosif» (BLOCH, Ernst Op. cit., p. 97).

[13] La ricerca di Pin è il motore della narrazione di Calvino: “una persona si pone volontariamente una difficile regola e la segue fino alle ultime conseguenze, perché senza di questa non sarebbe se stesso né per sé né per gli altri.” (Prefazione, in I nostri Antenati, Torino, Einaudi, 1960, p. X).

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