Nella novella “Non aspettavano altro” (1958), lo scrittore italiano Dino Buzzati rappresenta il calvario di due viaggiatori che, arrivando a una città sconosciuta, subiscono violenza dai suoi abitanti. Considerando l’attualità del tema, in quest’articolo proponiamo un’analisi del racconto, basandoci su delle teorie sulla folla e sullo spazio pubblico.
Vi ho detto, senza che voi stessi lo sapeste, la vostra medesima vita. Per esteso ve l’ho spiegata e da una parte e dall’altra, poche parole mi sono bastate.
(Dino Buzzati)
Conosciuto soprattutto per il suo romanzo Deserto dei Tartari (1940), lo scrittore e giornalista italiano Dino Buzzati (1906-1972) riteneva che la letteratura dovesse essere moralmente impegnata. L’attività di cronista al Corriere della sera ha esercitato un importante influsso sulla pratica del narratore. Non soltanto gli ha fornito dei temi, ma ha anche influenzato il suo stile. Con i suoi racconti brevi e con un linguaggio semplice, intendeva spingere il lettore a riflettere. Ed è esattamente ciò che succede a colui che legge la novella “Non aspettavano altro”[1].
Quando leggiamo questo racconto, ci colpisce la velocità con cui gli avvenimenti succedono. Tra l’arrivo dei personaggi Antonio e Anna alla “grande città” e il linciaggio di quest’ultima ci sono soltanto poche pagine. Nonostante la chiarezza con cui Buzzati costruisce l’intreccio, proviamo a tradurre l’enorme effetto che ci ha fatto la storia. Baseremo la nostra analisi sulle teorie di Gustave Le Bon[2] e di Erving Goffman[3]. Inoltre ci soffermeremo soprattutto in due aspetti del racconto: il comportamento della folla e il rapporto degli individui con il loro territorio.
In “Non aspettavano altro”, fin dall’inizio del soggiorno di Anna e Antonio nella città, i suoi abitanti hanno dei pregiudizi sulla coppia. I portieri e i clienti degli alberghi li guardano con sospetto, come se i viaggiatori compatrioti fossero dei nemici. Innanzitutto una sorta di barriera è creata dal fatto che la coppia utilizzi nel parlare l’italiano standard, mentre la popolazione si comunica in dialetto. Inoltre il loro diverso modo di comportarsi e di vestirsi rende ancora più difficile la loro identificazione. Anche se gli abitanti trovano i forestieri strani, all’inizio dell’intreccio quelli si contentano appena di misurarli.
La situazione di Anna e Antonio diventa tuttavia insostenibile quando arrivano al giardino pubblico, dove il calvario della ragazza inizia. Per analizzarlo, utilizzeremo degli elementi della teoria di Erving Goffman sulle relazioni sociali in pubblico. Per capirla, bisogna innanzitutto conoscerne alcuni dei suoi concetti basici. Secondo il sociologo, l’organizzazione sociale è incentrata nel diritto, in torno dal quale si trovano altri elementi Il diritto si riferisce, tra l’altro, al titolo di uso di un bene, cioè di un oggetto o stato desiderato. Una persona che ha un diritto può tuttavia essere minacciata da un avversario, e questo costituisce un’offesa.
Si può stabilire un nesso tra questa teoria e il racconto di Buzzati. In questa prospettiva Anna diventa un’avversaria degli abitanti quando entra nella fontana[4]. Dal momento che l’acqua è riservata ai bambini della città, l’azione della forestiere è considerata un’intrusione, cioè una offesa territoriale che succede quando un individuo penetra in un territorio senza averne il diritto. All’inizio lei non è duramente rimproverata e riceve soltanto un avviso perché esca dalla fontana. Si crede che la sua azione sia un effetto inadeguato della temperatura calda. Dal momento che Anna non accetta quest’eccessiva imposizione territoriale e non sente di essere un’intrusa, risponde che resterà ancora un poco nell’acqua.
Quest’atteggiamento di Anna sembra incomprensibile e pure provocativo agli abitanti della città. A dispetto dell’immenso caldo che ci fa, loro rimangono soltanto seduti sull’orlo della fontana, “per lo più con le mani immerse nell’acqua”. Cioè rispettano la norma implicita che la forestiere non vuole ammettere. Questo rifiuto, la bellezza e il linguaggio di Anna spingono gli altri a rafforzare il primo rimprovero. Da questo momento, il lettore segue il continuo crescendo dell’ira della folla, che inizialmente si traduce nella trasformazione della loro maniera di parlare.
Per comprendere meglio questo movimento, utilizzeremo degli elementi della teoria di Le Bon. Secondo lui, dal punto di vista psicologico, la folla si forma in alcune circostanze quando “un agglomeramento di uomini possiede caratteri nuovi, molto diversi da quelli degli individui di cui esso si compone. La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di tutte le unità sono orientate in una stessa direzione. Si forma un’anima collettiva (…) [che] forma un solo essere e si trova sottomessa alla legge dell’unità mentale delle folle.”[5].
Nella novella, Buzzati ha saputo rappresentare perfettamente il movimento di questo agglomeramento di uomini. Dal momento che gli abitanti si ribellano contro Anna (e meno intensamente contro Antonio), questi formano una folla e cominciano ad agire come tale. Le azioni seguenti coincidono esattamente con quelle descritte dal psicologo francese[6] e sono influenziate dal fatto che gli individui agiscono più istintivamente e meno razionalmente. Ci soffermeremo adesso su alcune di queste caratteristiche presenti nel racconto.
Innanzitutto possiamo osservare che le suggestioni formulate si impongono più facilmente, per contagio. In “Non aspettavano altro” questo succede per esempio quando tutti lanciano dei blocchi di fango nella ragazza. Inoltre, la folla tende a modificare i fatti visti, perché credi che siano vere le immagini evocate nel suo spirito. E’ esattamente ciò che succede quando un personaggio crede che Anna stia ammazzando un bambino. Essendo gli individui della folla adattissimi all’azione, cominciano a picchiare la ragazza, per salvare il bambino o per vendicare il presunto omicidio. Secondo Dino Buzzati, è in questo tipo di situazione, quando c’è l’illusione di un’utilità pubblica, che “l’uomo scatena i suoi peggiori istinti, perché trova l’alibi, un motivo di vanto e di orgoglio”[7]. Infine il numero di individui insieme gli conferisce non soltanto un sentimento di impunità, ma anche di potenza. Questa combinazione è esplosiva e li spinge a non ammettere nessun ostacolo. Perciò nella narrazione buzzatiana, neanche la polizia riesce a contenere l’azione della folla.
Abbiamo fatto un’analisi psico-sociologica, per capire meglio il legame tra il testo letterario e la realtà. Ma non è soltanto questa la forza del testo di Buzzati e sarebbero stati possibili altri approcci. E’ affascinante per esempio il rapporto paradossale che il lettore stabilisce con la novella. Se da un lato il suo diletto è sempre maggiore quando osserva la costruzione minuziosa dell’intreccio e la scelta precisa delle parole, dall’altro è anche crescente la sua angoscia di fronte alla crudeltà dei personaggi.
Buzzati ci ha mostrato la vita di sua epoca, che in parecchi casi è ancora la nostra. Per tutto ciò, forse lo scrittore aveva ragione e continueremo a bruciare, “per anni e anni, pur quando il [suo] nome sarà completamente dimenticato”[8].
Nádia Gonfiantini
[1] BUZZATI, Dino. « Non aspettavano altro », in Sessanta racconti (1958). Milano: Mondadori, 2014.
In francese, troviamo la novella nella raccolta L’écroulement de la Baliverna (Editions Gallimard).
Già la traduzione brasiliana fa parte di A queda de Baliverna (Editora Nova Alexandria).
[2] LE BON, Gustave. Psicologia delle folle (1895), p. 10. Disponibile su http://digilander.libero.it/rivista.criminale/e-book/psicologia_folle.pdf (consultato: novembre 2014).
[3] GOFFMAN, Erving. La mise en scène de la vie quotidienne. 2. Les relations en public (1968). Paris: Les Editions de Minuit, 1973.
[4] Utilizzando ancora la teoria di Goffman, la fontana sarebbe uno “spazio situazionale”, perché fa parte della struttura fissa dello spazio pubblico ed è a disposizione della folla per il suo uso.
[5] LE BON, Gustave… Op. cit. p. 10.
[6] Secondo lui, le caratteristiche generali delle folle sono : l’impulsività, la mobilità e l’irritabilità, la suggestionabilità e la credulità, l’esagerazione e il semplicismo dei sentimenti.
[7] Incontro con Dino Buzzati, disponibile su http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-4d50c678-a6be-44e7-b659-ac6f0c87339c.html (consultato: novembre 2014).
[8] Citazione dal testo Separazione: ” (…) Vi ho bruciato qualche cosa dentro, mentre voi facevate mostra di niente osservando le ragazze che passavano; e non rimarginerà più così come nessuno potrà mai guarire le ferite fatte con la cattiveria nel cuore dell’uomo. E continuerete a bruciare, misericordia di Dio, per anni e anni, pur quando il mio nome sarà completamente dimenticato.”